La chiesa di san Giuseppe sorse su un precedente edificio di culto, sempre dedicato al Santo patrono dei lavoratori, per volere dei padri Gesuiti dai quali si volle fondata la medesima congregazione il 13 aprile 1621, perché i medesimi avevano, accanto alla chiesa, un piccolo convento. In seguito, dai padri domenicani venne ceduto al pio sodalizio una zona di orto attigua al convento dei gesuiti che, aggiunta all’area della chiesetta, divenuta in gran parte impraticabile, bastava all’erezione del nuovo edificio di culto, riguardo al quale non è possibile precisare la data di edificazione; di certo si sa che nel 1635, quando fra Vincenzo da Monopoli, lettore domenicano, reggeva la congrega in qualità di padre spirituale, la nuova chiesa era già completata. Il nuovo edificio di culto dedicato a san Giuseppe, annesso alla chiesa del Rosario, è lungo circa venticinque metri e largo otto, e presenta una forma rettangolare, con il prospetto della facciata ed il campanile di ordine ionico. Corinzio, invece, lo stile che ritroviamo all’interno, illuminato da sette finestre ed ornato da due altari. Il primo conta la sua esistenza dalla fondazione della chiesa ed è lavorato in pietra leccese. Un tempo esso era tutto dorato; in seguito, però, a causa dell’umidità, il colore dorato si deteriorò e nel 1870 venne ridipinto. Al centro di questo altare si trova la statua di san Giuseppe, unico retaggio del precedente complesso religioso. Il secondo altare, anch’esso lavorato in pietra, fu costruito invece nel 1842. Tra tutte le pitture che ornano la chiesa da segnalare, in modo particolare, lo Sposalizio della Vergine e la Fuga in Egitto con strage degli Innocenti. Sul primo dipinto, si deve al Tarentini l’attribuzione dello Sposalizio a «un tal Nicola Schiavoni». Lo studioso locale non manca di notare come «l’artista conoscesse appieno l’architettura». In quest’opera, infatti, emergono l’uso di una vivace tavolozza, purezza formale e notevoli doti di ambientare la scena sacra con le invenzioni delle quinte architettoniche, realizzate quasi fossero uno scenografico fondale teatrale che contestualizza la rappresentazione principale. L’abilità compositiva suggerisce l’ipotesi che l’autore abbia condotto il proprio tirocinio artistico presso una qualificata bottega napoletana la quale, per il sapore popolare dato all’evento, si suppone sia quella del Solimena. Il secondo dipinto, invece, è attribuito a Pasquale Bianchi, e fa da pendant ad un’altra opera di questo prolifico artista locale, quale è l’Adorazione dei Magi. Il soggetto del Riposo durante la fuga in Egitto è sostanzialmente tratto dall’omonimo dipinto firmato da Lorenzo Masucci che si trova nella chiesa romana di santa Maria dell’Orazione e Morte, eseguito attorno alla metà degli anni Cinquanta del secolo XVIII. Inoltre non mancano, nelle aggiunte che fanno da contorno al tema del “riposo”, attenzioni ad elementi classicizzanti, sviluppati in ambito napoletano, come ad esempio la scultura acefala che appare al margine sinistro della zona centraledella tela. Interessante è, inoltre, il motivo della prefigurazione della passione di Cristo con gli oggetti simbolo della croce, del flagello, del chiodo, della tenaglia, della corona di spine che l’angelo mostra al Bambino o che questo trattiene nelle mani.